La passata di pomodoro e il lavoro di gruppo

Lo sviluppo delle competenze emotive si realizza non solo nei percorsi
di formazione e di sviluppo ma anche nelle esperienze di vita quotidiana.

Articolo LavoroDiGruppoSul lavoro di gruppo si è scritto veramente tanto: come si costruisce un gruppo, quali debbano essere le caratteristiche di chi ne fa parte, quali siano le principali disfunzioni. Si è detto tanto su come fare e come non fare per essere un gruppo coeso e vincente.

Senza la pretesa di aggiungere qualcosa di nuovo, oggi con voi vorrei riflettere su come ho riletto alcune esperienze della mia vita e di come ho capito che anche queste, oltre ai tanti libri letti e studiati, mi abbiano aiutato a sviluppare questa competenza.

Eh già perché, come diciamo sempre, non è possibile modificare i nostri comportamenti solo attraverso lo studio di libri o la partecipazione a qualche giornata di formazione. Ci vuole ben altro, ci vuole applicazione, sperimentazione e fatica per mettere in pratica quegli insegnamenti che produrranno i cambiamenti desiderati. E, altrettanto, ci vuole capacità di riflettere su quanto accaduto per distillare gli apprendimenti chiave.

Se faccio un tuffo nel passato, e solo ora con l’età che avanza posso interpretarlo così, riesco a capire come le diverse esperienza della mia vita mi abbiano insegnato tanto e mi abbiano preparato a sviluppare la capacità di lavorare in gruppo. Non si è mai “arrivati” certo, e mi piace pensare che le prossime esperienze, oltre a far avanzare notevolmente la mia età anagrafica, mi insegneranno ancora di più e arricchiranno la mia saggezza!

Partendo da tempi molto lontani mi è capitato di ripensare a quando ero piccola e giocavo in cortile con tutti gli altri bambini del quartiere. Quante risate, quante ore passate giù a giocare a nascondino, all’elastico o al gioco del fazzoletto. Ma c’era sempre lo stesso problema… indipendentemente dal gioco, bisognava mettersi d’accordo sulle logiche di funzionamento. Quanto tempo investito a confrontarsi e discutere sulle regole del gioco, prima di cominciare a giocare davvero! Quante arrabbiature prese con chi non le rispettava, quante volte le abbiamo ripetute e quante volte le abbiamo rimesse in discussione, per poi capire che solo quando ci si dà un metodo chiaro, preciso e condiviso da tutti, ci si può divertire veramente.

E non succede lo stesso anche nei nostri gruppi di lavoro? Quante volte ci è capitato di non dichiarare apertamente il metodo o di non condividerlo e così ci siamo ritrovati a lavorare insoddisfatti e non sfruttando efficacemente il tempo?

Un altro ricordo vividissimo, e che mi fa sorridere ancora, è il momento in cui si riuniva tutta la famiglia con zii, cugini e parenti vari, per iniziare la “produzione casalinga” della passata di pomodoro. In quell’occasione l’obiettivo era chiaro per tutti: ogni famiglia voleva avere la scorta di passata per tutto l’inverno. L’attività iniziava molto presto con una precisa ripartizione di ruoli in modo tale che ognuno sapesse fin da subito che cosa avrebbe fatto per il resto della giornata, c’era l’addetto al pentolone sul fuoco, chi tagliava i pomodori, chi si occupava della sterilizzazione delle bottiglie e chi con grande maestria girava l’ambitissimo “passapomodoro”,

È proprio lì che ho imparato quanto è importante assegnare ad ognuno un ruolo specifico.

E i gruppi di studio all’università? Ve li ricordate? Prima di un “esamone”, come li chiamavamo allora, ci riunivamo per studiare insieme. Quello che ho imparato nei gruppi di studio è la condivisione. La condivisione del quaderno degli appunti, degli schemi, del libro già sottolineato e magari anche delle interpretazioni e delle spiegazioni di qualche passaggio fondamentale che risultava comprensibile solo per pochi. Era bello quando qualcuno chiariva un passaggio che risultava difficile, era bello che ognuno di noi sapesse contribuire a rendere più completo, efficace e allo stesso tempo leggero lo studio di tutti.

Quante volte, invece, nel lavoro siamo gelosi delle informazioni che abbiamo?

Ho imparato tanto anche da alcune passioni che ho avuto la fortuna di approfondire.

All’inizio sono state le lezioni di danza che mi hanno insegnato che ogni cosa ha bisogno di una (lenta e faticosa!) preparazione e che in una coreografia, è fondamentale adeguare i propri ritmi a quelli degli altri. Quando balli in un gruppo non sei più importante degli altri, a meno che non stia facendo un assolo ovviamente, perché in quel caso le luci del palcoscenico sono solo per te. In una coreografia è fondamentale il ritmo comune e sono le prime file a dettare il tempo: se tu continui a ballare seguendo il tuo di ritmo e non ti adegui a quello degli altri, non stai contribuendo a sviluppare un bella coreografia. Devi necessariamente guardare, possiamo dire anche ascoltare i respiri e i movimenti dei tuoi compagni e devi inevitabilmente adeguarti e quindi modificare la tua velocità per andare insieme a loro.

Che cosa ci succede in gruppo quando siamo così fortemente orientati all’obiettivo, quasi fosse di nostra proprietà? Ci rendiamo conto di proseguire da soli e di non essere più parte del gruppo?

Per non dire poi di quanto ho imparato durante il corso di improvvisazione. La cosa più dirompente che ho capito è stata il fatto che quando entri in una scena già iniziata da qualcun altro, non puoi e non devi stravolgere quello che ha portato il tuo compagno…non puoi andare per la tua strada senza rispettare quella che era la strada già identificata dall’altra persona. Quindi improvvisi mettendo il tuo e valorizzando quanto già presente, portando il tuo contributo armonicamente con quello che è già presente in scena e avendo la fiducia, e la certezza aggiungo, che dall’altra parte riceverai la stessa attenzione.

Ora ovviamente nella vita reale non sarai sempre d’accordo con tutto ciò che dice un’altra persona, sarebbe ridicolo. Ma la cosa più preziosa che il teatro di improvvisazione ti insegna è “rispettare ciò che il tuo compagno ha creato”. Intervenire con questo approccio porta facilmente ad accogliere più che ostacolare quello che l’altra persona sta portando e questo contribuirà a portare valore alla scena comune. Ciò significa avere la capacità ed il coraggio di iniziare con un “si” tutte le interazioni, e continuare con un “e” quando aggiungo la mia prospettiva a ciò che l’altro ha già generato.

Quanto spesso, invece, nel “palcoscenico” lavorativo ci poniamo in senso oppositivo o senza considerare con reale attenzione il movente che  ha spinto le altre persone ad agire o decidere in un determinato modo?

Vero è che, senza alcuni modelli di riferimento e in mancanza di schemi interpretativi, probabilmente non sarei riuscita oggi a comprendere e valorizzare queste mie esperienze di vita! Fermarsi e provare a ripercorre con memoria visiva, emotiva e cognitiva queste tappe di “NOI all’interno di un gruppo”, ci offre la grande possibilità di riconoscere i nostri e gli altrui schemi di comportamento, e di ampliare la consapevolezza personale per tradurli in maggiore efficacia.

Maddalena Soro

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