Un difficile equilibrio

Leadership, potere e workaholic: una riflessione per mantenere il nostro equilibrio personale.

ArticoloGennaio Leadership

Sono sempre molti i contributi relativi al tema della leadership e, come spesso accade con le mode manageriali, il rischio è di una ridondanza infruttuosa che riveste con nuove terminologie concetti già esistenti. Basta digitare la parola “leadership” in un motore di ricerca per imbattersi in centinaia di pagine tra cui scoprire tante differenti denominazioni, che solo in parte riflettono diversità di approcci (leadership situazionale, leadership trasformazionale, leadership ispiratrice), mentre in molti altri casi sono frutto di operazioni che potremmo definire di marketing. Senza voler entrare nel merito e, a titolo esemplificativo, basti pensare a quanto sia diffuso in questo periodo il ricorso al termine “leadership gentile”!!!

 

Nonostante questa ricchezza, vogliamo aggiungere al tutto una nostra riflessione, avvisando già che ci divertiremo a coniare, anche noi, un nuovo modo di denominare la leadership!

Agire la leadership significa sostanzialmente esercitare influenza verso altre persone e, quindi, inevitabilmente, impattare nella loro sfera delle libertà di pensiero e azione. In questa prospettiva, la leadership non può non essere considerata una forma di potere, il cui esercizio è alimentato e gratifica quello che McClelland definisce Bisogno di Potere. Alcuni di noi, più di altri, trovano piacevole dare consigli, aiutare le persone, essere un punto di riferimento, insegnare, offrire supporto… ma è bene ricordare che, anche in questa sua forma altruistica (e non è la sola modalità con cui si può manifestare), rimane pur sempre un bisogno personale. Come spesso mi capita di dire, ogni bisogno “ha fame” e richiede di essere nutrito e, ciò, può tradursi nel cercare con continuità, come una sorta di dipendenza, situazioni in cui poterlo gratificare. Esercitare la leadership è però molto faticoso, richiede tempo, energie, lucidità decisionale e soprattutto molte attenzioni da dedicare alle altre persone, considerando che a tutto ciò si aggiungono le scadenze da rispettare, gli obiettivi da raggiungere, le emergenze da gestire. E quanto è lunga una nostra giornata lavorativa?

 Come sappiamo, lo spendere la maggior parte del proprio tempo in attività correlate al lavoro può produrre effetti negativi, in termini di malfunzionamento sociale, nelle relazioni interpersonali e familiari, e sullo stato di salute. Nel 1971 Oates introdusse il termine workaholic, come fusione delle parole work e alcoholism, proprio per descrivere la dipendenza delle persone dalla propria attività lavorativa, una dipendenza caratterizzata da un incontrollabile desiderio di lavorare incessantemente e, più recentemente, Spence e Robbins, nel 1992, hanno per la prima volta introdotto la nozione di triade workaholic, caratterizzata da: impegno nel lavoro, motivazione nel lavoro e piacere ricavato dal lavoro.

E se sviluppassimo dipendenza anche dall’esercitare la nostra leadership?

Questa è una domanda che potremmo farci per alimentare un rapporto equilibrato con noi stessi e con gli altri. Ed è a partire da questa domanda che da oggi vi proponiamo di impegnarvi a costruire una “Analcoholic Leadership”.

 

A cura di Francesca Chiara (Team 300GRAMMI)