Cronaca di una selezione mai nata

Forse in qualità di HR non te lo sei mai chiesto: come può vivere un candidato l'esperienza della selezione e cosa può pensare della tua azienda?

Articolo selezione

Entro nella stanza e mi accomodo sulla sedia di fronte a me. In realtà, accomodare non è il verbo giusto, perché mi rendo conto che, inconsapevolmente, ho appena formulato un pensiero su quanto sia poco confortevole quella seduta. Ma sicuramente dipende da me: sono sulle spine e un po’ teso in questo momento, quindi probabilmente non starei comodo in ogni caso. Non mi distraggo, però, rimango concentrato sul mio obiettivo e mi lascio invadere da una energia positiva, originata dall’aspettativa che tra breve avrò la possibilità di far conoscere chi sono e cosa so fare. Mi ritrovo tuttavia a ripercorrere il mio percorso di studi… Sono perplesso, perché quelle informazioni sono sul CV che il selezionatore tiene in mano e che dovrebbe, peraltro, aver già letto. Poco male, forse ora mi chiederà della tesi di laurea. È passato davvero tanto tempo da allora, ma avrei un episodio interessante da raccontare in merito, che dice molto di chi sono e di come affronto le sfide. Invece no…

Inizia chiedendomi delle esperienze lavorative. Vorrei raccontargli di quella volta in cui ho ideato uno strumento innovativo per gestire più efficacemente un’attività e del fatto che ci ho lavorato per mesi, di notte, per realizzarlo. Oppure di quella volta in cui il mio gruppo di lavoro si stava allontanando da un obiettivo molto importante per noi e ho trovato il modo di dare una sferzata di energia e riorientarlo. O ancora, delle numerose risorse che informalmente mi hanno affidato e che ho fatto crescere, giorno dopo giorno, trasformandole in professionisti eccellenti. Invece no…  non trovo spazio per farlo!

Mi chiede: “se i tuoi amici dovessero dire qual è un tuo pregio e un tuo difetto, cosa risponderebbero?” Non ci posso credere… Vorrei dirgli che i miei amici ora mi direbbero di alzarmi da questa sedia, perché sto solo perdendo tempo, ma sto al gioco e qualcosa di intelligente lo dico pure. Poi, lasciandomi intendere che ormai ha finito con me, mi chiede se ho qualche domanda relativamente all’azienda o al profilo ricercato. Vorrei dirgli che avrei gradito fosse stato lui spontaneamente, ad inizio colloquio, a presentare la sua azienda. Resisto alla tentazione di reagire negativamente, ma un sassolino dalla scarpa voglio togliermelo e, quindi, gli dico di aver letto della loro nuova acquisizione negli Stati Uniti e gli domando quale sarà l’impatto di questa scelta nel loro processo di procurement. Gli leggo il panico negli occhi, farfuglia una qualche frase incomprensibile e, allora, decido di non farlo soffrire ulteriormente e fingo di accontentarmi della sua risposta. Addio caro selezionatore, oggi hai perso un’occasione!

Il processo di selezione è evidentemente un momento delicato e difficile nel quale, però, il selezionatore dovrebbe usare tutti gli strumenti possibili per ridurre l’asimmetria informativa connaturata in questa relazione. E il colloquio “tradizionale” non rappresenta una soluzione efficace. Esiste, invece, una ormai ampia letteratura che sottolinea l’importanza di misurare durante il processo di selezione le competenze emotive, oltre a quelle tecniche, di ogni candidato e che ha prodotto una serie di approcci metodologici in grado di farlo con elevati gradi di prevedibilità. Tra questi, il più accreditato è l’Assessment Center.

Quali benefici potresti trarre se il processo di selezione della tua azienda fosse fondato sul modello dell’intelligenza emotiva?  Ti piacerebbe scoprirlo insieme a noi?

Francesca Chiara

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